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Cicerchie al pesto di cactus con capasanta e polpa di granchio

La nuova ricetta di Chef Rosato propone un pesto decisamente innovativo, a base di cladoli di cactus, abbinato a prelibati frutti di mare rappresentati dalla capasanta e dalla polpa di granciporro atlantico, una delle specie più gustose di granchio.

Per le nostre “Cicerchie al pesto di cactus con capasanta e polpa di granchio” abbiamo condito questi legumi ad un pesto di fico d’india (noto anche come cactus del Mediterraneo), affiancato a due prodotti di eccellenza del mondo dei molluschi e dei crostacei.

Nella moderna gastronomia le cicerchie (cicerule in latino), dopo un lungo periodo in cui sembravano completamente dimenticate, hanno avuto negli ultimi anni una vera e propria riscoperta in cucina che ha ampiamente riscattato la sua storia millenaria.

 

Tra i vari elementi contenti proteine un ruolo di primaria importanza è svolto naturalmente da tutti quegli alimenti di origine animale come carne, pesce, molluschi, uova, latte e derivati.

Ma anche naturalmente dalla frutta a guscio, dai semi oleosi e, in misura minore, dai cereali.

Per non parlare ovviamente dei legumi, primi fra tutti i fagioli, non a caso definiti in passato come la “carne dei poveri”.

Soprattutto in epoche non troppo lontane, come ad esempio quella dell’immediato dopoguerra del secolo scorso, quando la carne scarseggiava ed era appannaggio pressoché esclusivo delle classi più abbienti.

Ma la storia della diffusione dei legumi ha radici molto più antiche e remote, che risalgono addirittura ad alcuni millenni addietro, come testimoniano i ritrovamenti dei resti di svariate coltivazioni di leguminose scoperte in alcune grotte della Thailandia, risalenti a circa 10.000 anni fa.

Da allora il lungo percorso dei legumi ha interessato diverse aree del pianeta, passando naturalmente anche per l’Antico Egitto e la Roma Imperiale, dando origine a diverse varietà e incroci dal cui insieme sono scaturiti alimenti di grande consumo.

Sebbene nel corso dei secoli siano stati spesso discriminati, dai moderni soloni della gastronomia internazionale, nella gerarchia delle risorse alimentari.

L’elenco del resto è piuttosto lungo e comprende sia specie note e consumate regolarmente nella dieta quotidiana (lenticchie, fagioli, fagiolini, taccole, soia, fave, ceci, piselli, lupini e arachidi), sia varietà meno conosciute come roveja, carrube, caiano, fieno greco e  cicerchie.

E sono proprio le cicerchie (cicerule in latino) che, dopo un lungo periodo in cui sembravano completamente dimenticate, hanno avuto negli ultimi anni una vera e propria riscoperta in cucina che ha ampiamente riscattato la sua storia millenaria.

Le cui origini risalgono alla prime popolazioni della Mesopotamia (8000 a.C.) per approdare, transitando attraverso i Paesi balcanici, nell’Antica Roma e diffondersi praticamente ovunque per molti secoli nella nostra penisola.

Continuando ad essere utilizzato senza problemi durante il Medioevo e il Rinascimento fino a quando  alcuni secoli più tardi, verso la fine dell’Ottocento, subì una pesante battura d’arresto.

Dovuta alla scoperta (in seguito alle ricerche di alcuni medici napoletani condotte su un gruppo di contadini abruzzesi) che le cicerchie contenevano l’odap, una neurotossina  responsabile di una grave malattia (latirismo) che poteva provocare seri disturbi neurologici con gravi ripercussioni sul sistema muscolare.

Va sottolineato comunque che questi rischi sembrano oggi non avere più alcun fondamento poiché le controindicazioni sono legate soprattutto (come avveniva in passato) ad un uso prolungato e intenso delle circerchie (almeno 300 grammi al giorno per diverse settimane), prerogative peculiari delle popolazioni sottoposte a lunghe carestie o in quelle più povere delle regioni meno sviluppate del pianeta.

La tossicità di questi legumi è inoltre attenuata da alcuni accorgimenti (non ancora noti, né praticati, nei periodi di carestia) quali un periodo di ammollo particolarmente lungo (36/48 ore) in acqua salata, effettuato cambiando spesso l’acqua, e tempi di bollitura altrettanto prolungati (minimo 2 ore)

Questi procedimenti infatti attenuano sensibilmente gli effetti negativi della neurotossina, per cui un utilizzo moderato (e soprattutto non continuativo) non causa particolari problemi, sebbene le cicerchie rappresentino un legume del quale si sconsiglia un uso esclusivo e permanente nelle quotidiane abitudini alimentari.

Per la nostra ricetta di “Cicerchie al pesto di cactus con capasanta e polpa di granchio” abbiamo condito questi legumi ad un pesto di fico d’india (noto anche come cactus del Mediterraneo), abbinato a due prodotti di eccellenza del mondo dei molluschi e dei crostacei, rappresentati dalla capasanta e dalla polpa di granciporro atlantico, una delle specie più gustose di granchio.

 

Ingredienti per 2 persone:

200 g di cicerchie

3 cladoli freschi

1 spicchio di aglio

4 acciughe

20 g di capperi dissalati

45 g di parmigiano grattugiato

60 ml di olioevo

10 chele di granciporro

2 capesante

Per le decorazioni:

germogli di ravanello rosato

2 baby cladoli

 

Preparazione (2 h, 20 min)

Dopo aver messo in ammollo le cicerchie per 36/48 ore in acqua salata, cambiando l’acqua e risciacquando i legumi in acqua corrente, si può procedere alla preparazione delle cicerchie.

Per le cicerchie:

Mettere la cicerchie in una pentola di acqua bollente salata e lasciar cuocere per almeno due ore.

A fine cottura scolare i legumi e lasciare raffreddare leggermente in una boule di vetro.

Quando la cicerchie sono ancora tiepide versare il pesto di cactus nella boule, mescolare bene aggiungendo un cucchiaio di olioevo, e lasciar riposare per una decina di minuti.

Per il pesto di cactus:

Lavare accuratamente i cladoli del cactus, prelevati freschi dalla pianta, e procedere alla pulizia della superficie rimuovendo le spine con una pinza da pesce ed eventuali altre escrescenze con uno spilucchino.

Tagliare a striscioline sottili, larghe pochi millimetri, i cladoli e immergerli in acqua bollente per una decina di minuti, sia per una leggera cottura iniziale sia per eliminare la linfa interna presente nei cladoli.

Scolare le striscioline e versarle all’interno del mixer assieme agli altri ingredienti del pesto.

Per le capesante:

Soffriggere l’aglio e lo scalogno in una padella antiaderente e lasciar imbiondire al punto giusto gli aromi prima di versare le capesante.

Sfumare quindi con il vino bianco, aggiungendo un pizzico di sale.

Per la polpa di granchio:

Mettere a bollire le chele di granciporro in acqua salata per 15 minuti. Scolare le chele e raffreddare leggermente, per procedere quindi alla frantumazione con una pinza rompichele per crostacei.

In alternativa si può usare anche un comune schiaccianoci.

Estrarre delicatamente la polpa di granchio dalle chele, prestando molta attenzione nel separare eventuali residui solidi legati alla frantumazione.

Inserire la polpa di granchio in una boule di vetro, aggiungendo solo un filo d’olio e un pizzico di sale.

 

Impiattamento:

Adagiare lateralmente nel piatto il disco di cicerchie sagomato con un coppapasta, e ricoprire la sommità con un topping di pesto di cactus.

Inserire la chela di granciporro lasciata intera al centro del disco, in maniera tale che le due pinze terminali risultino verticali alla superficie del piatto.

Nella zona anteriore aggiungere un nido formato dai germogli di ravanello rosato (sulla sinistra) e una piccola isola di pesto di cactus a destra.

Depositare la capasanta sui germogli, e un baby cactus sul pesto, e le “Cicerchie al pesto di cactus con capasanta e polpa di granchio” sono pronte.

 

Bevanda consigliata:

Barbera D’Alba DOC 2023 – Cantine Tenuta Prunotto.

La scelta dell’abbinamento dei vini più adatti ad accompagnare un piatto a base di cicerchie, ma anche la maggior parte dei legumi, non pone particolari problemi grazie alla marcata sapidità di questi alimenti.

Generalmente, soprattutto quando le cicerchie sono abbinate a sapori altrettanto decisi come nel caso del pesto di cactus, si preferisce un rosso ben strutturato, e di forte spessore, come questo Barbera caratterizzato un intenso rosso rubino, ricco di riflessi violacei.

Il bouquet rivela marcati aromi di frutta matura, abbinati a note speziate scaturite dalla lunga maturazione in botti di rovere.

La spiccata versatilità inoltre lo rende particolarmente adatto anche in abbinamento ad alcuni piatti tipici della tradizione piemontese, come il gran bollito misto.

La temperatura di servizio è compresa tra i 16 e i 18 gradi.

 

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