La nuova ricetta di Chef Rosato propone un secondo di terra realizzato con uno dei volatili più apprezzati nel fine dining, assai noto e utilizzato in cucina fin dai tempi dell’antico Egitto.
Nella preparazione delle nostre “Coscette di quaglia all’uva selvatica con dukkah e chips di giuggiole”, oltre all’uva selvatica, abbiamo inserito un altro frutto noto per la sua dolcezza, abbinata ad una consistenza soda e carnosa: le giuggiole, mentre il condimento viene esaltato dalla dukkah, una delle miscele di spezie più aromatiche di origine egiziana.
Diversamente dalle altre carni di selvaggina, quella della quaglia è particolarmente digeribile e ricca di proteine, ma al tempo stesso anche a basso contenuto di colesterolo per cui si rivela adatta ad ogni tipo di alimentazione, grazie anche al largo consumo delle uova presente ormai in tutti i supermercati.
Se provassimo ad indagare sull’origine delle grandi uve, quelle per intenderci dalle quali deriva la maggior parte dei vini pregiati, che solitamente abbiniamo ai piatti gourmet, la ricerca potrebbe apparire fin troppo semplice.
E si baserebbe su un elenco delle principali uve utilizzate nella produzione dei vini più blasonati.
Dalle uve Nebbiolo per il Barolo alle uve Sangiovese per il Brunello di Montalcino, o alle uve passite dei vitigni della Valpolicella per l’Amarone, tanto per citare alcune delle varietà più note.
Ma in realtà tutti questi cultivar sparsi nel mondo, come molti altri, tra cui i famosi sette vitigni (Chardonnay compreso) dai quali si produce lo Champagne, non esistono in natura poiché si tratta sempre di uve derivanti dalla cosiddetta vite coltivata.
In altre parole sono uve che rappresentano la sintesi di un lungo lavoro di selezione (e di complessi interventi di ibridazioni) sviluppato nel corso di numerosi secoli e il cui punto di partenza è sempre stato uno solo: l’uva selvatica.
La vite selvatica è una pianta che cresce spontanea e le cui origini risalgono addirittura al periodo dell’ultima glaciazione nei territori euroasiatici dell’area mediterranea.
Per la sua particolare distribuzione sul territorio la vite selvatica viene definita come una pianta a tendenza ruderale la cui crescita, pur tendendo a privilegiare luoghi incolti (strade, muri, ruderi, etc), riesce ad adattarsi anche in ambienti boschivi, lungo le siepi o in prossimità di corsi d’acqua.
Dal punto di vista enologico l’uva selvatica non è adatta alla vinificazione a causa delle caratteristiche degli acini (molto aspri e a scarso contenuto di zuccheri), ed è per questo che nel corso della lunga storia della vinificazione si è ricorso alle selezioni e alle ibridazioni. L’idea di partenza delle nostre “Coscette di quaglia all’uva selvatica con dukkah e chips di giuggiole” è nata dalla presenza lungo una siepe di lauri del nostro dehor di numerose piante di vite selvatica che, puntualmente ogni anno, danno origine ad una ricca produzione di grappoli di uva selvatica.
Grappoli che, se raccolti alla fine del ciclo di maturazione, risultano decisamente meno aspri e possono essere consumati sia come frutta che nella preparazione di piatti salati.
E tra gli abbinamenti più comuni in questo ambito, uno dei più noti (anche a nella classica cucina casalinga) è rappresentato dalle quaglie all’uva, presente in diverse cucine regionali con un’ampia gamma di variati appetitose e di facile realizzazione.
Del resto le quaglie vantano una tradizione molto antica nella storia dell’alimentazione, come si riscontra nelle opere dello storico Erodoto, che annota l’utilizzo di questi gallinacei già a partire dal 3000 a.C., quando gli antichi Egizi (dopo averle essiccate e salate) le utilizzavano per nutrire gli schiavi impegnati nella costruzione delle piramidi.
Diversamente dalle altre carni di selvaggina, quella della quaglia è particolarmente digeribile e ricca di proteine, ma al tempo stesso anche a basso contenuto di colesterolo per cui si rivela adatta ad ogni tipo di alimentazione.
Grazie anche al largo consumo delle uova presente ormai in tutti i supermercati.
E, particolare non trascurabile, le quaglie sembrano immuni (almeno finora) dagli strali degli animalisti più irriducibili, o dalle fosche previsioni distopiche dei paladini dell’ambiente, poiché non rientrano nel panorama delle specie a rischio di estinzione.
Grazie infatti alla loro elevata prolificità si riproducono velocemente sia in ambiente selvatico che in cattività, settore quest’ultimo che registra ogni anno negli allevamenti sparsi in tutto il mondo una produzione di circa due miliardi di esemplari.
Oltre all’uva abbiamo inserito un altro frutto noto per la sua dolcezza abbinata ad una consistenza soda e carnosa: le giuggiole.
Un frutto che, grazie alle sue peculiarità, ha dato origine all’espressione figurata andare in brodo di giuggiole (presente già nella prima edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca del 1612) con la quale viene indicato uno stato d’animo di grande benessere ed estrema contentezza.
Diffusissime nell’antica Cina, le giuggiole vennero introdotte in Europa all’epoca dell’Impero Romano e presentano una singolare caratteristica relativa al loro sapore, sempre gradevole e buonissimo.
Se raccolte infatti ancora verdi (quando assomigliano a delle olive) hanno un gusto assai simile alle mele mentre a maturazione completata, quando la colorazione assume sfumature scarlatte, diventano più dolci e ricordano il gusto dei datteri, tanto da farli conoscere anche come “datteri cinesi”.
Il tutto condito con la dukkah, una delle miscele di spezie più aromatiche di origine egiziana.
Ingredienti per 4 persone:
6 quaglie
300 ml di birra non filtrata
400 g di uva selvatica
8 frutti di giuggiole
200 ml di olio di semi di arachidi
1 scalogno
1 spicchio di aglio
Olioevo
Sale
Pepe
Ingredienti per la Dukkah:
30 g di semi di cumino
15 g di semi di sesamo (tostati)
15 g semi di girasole (tostati)
15 g di semi di coriandolo
15 g di semi di finocchio
100 g di nocciole
100 g di pinoli
15 g di ceci in polvere
20 g di timo secco
15 g di peperoncino in polvere
15 g di sale marino integrale
5 g di pepe di Sichuan
Preparazione (3h, 15 m)
Per le quaglie:
Tagliare le quaglie isolando le 12 coscette che servono per la ricetta, tenendo la parte il resto della carne per altre preparazioni.
Lavare accuratamente in acqua corrente e mettere a marinare le coscette nella birra per circa 2 ore, dopodiché si fanno asciugare su carta assorbente.
Mettere a soffriggere in una padella antiaderente l’aglio e lo scalogno, lasciare imbiondire e versare le coscette cuocendole per almeno cinque minuti per lato e, quando risultano bel rosolate, versare la birra non filtrata (ricca di lieviti, darà più sapore alla ricetta) e alzare la fiamma.
Ancora dieci minuti di cottura e aggiungere 6 frutti di giuggiole (privati solo del grosse seme centrale) e abbassare il fuoco.
Nel frattempo, quando la birra inizia a ridursi, aggiungere anche gli acini d’uva (ben lavati) tagliati a metà e la dukkah.
Mescolare bene con un mestolo di legno, coprire e continuare la cottura a fuoco lento fino a che la birra non sia completamente evaporata (ca 10/15 minuti).
Spegnere il fuoco e lasciare raffreddare leggermente, con la padella coperta.
Per la dukkah:
La dukkah è una miscela di spezie, tra le più note e utilizzate nella cucina egiziana, e la sua aggiunta alla ricetta, oltre a conferire un gusto molto intenso alla carne di quaglia, rievoca anche uno dei piatti più diffusi lungo la valle del Nilo.
Dove ancora oggi alcune popolazioni locali preparano le quaglie secondo l’antica tradizione della cucina dell’epoca dei faraoni.
Si trova ormai senza problemi nel reparto delle spezie in molti negozi di prodotti etnici, ma può essere preparata facilmente anche in cucina utilizzando gli ingredienti che compongono la miscela di spezie.
La fase iniziale consiste nel tostare separatamente per circa cinque minuti i semi di sesamo e di girasole in una padella antiaderente senza alcune condimento, e le nocciole e i pinoli in un’altra padella.
A tostatura ultimata lasciare raffreddare per una decina di minuti e versate tutto nel mixer assieme agli altri ingredienti che compongono la dukkah, aggiungendo anche un pizzico di sale e pepe.
Frullare bene fino ad ottenere una miscela in polvere, ideale per la ricetta.
Per le chips di giuggiole:
Lavare le altre due giuggiole, lasciando la buccia, togliere il seme centrale e tagliare la polpa a fettine sottili spesse pochi millimetri.
Friggere nell’olio di arachidi per alcuni minuti per lato, scolare, salare e adagiare su carta assorbente da cucina fino al momento dell’impiattamento.
Impiattamento:
Adagiare le quaglie su un piatto piano, disponendole a triangolo con il bordo convesso rivolto verso l’esterno.
Versare al centro l’uva con la salsa di cottura delle quaglie, riempendo gli spazi tra le coscette con i frutti di giuggiole.
Aggiungere lungo il bordo inferiore una mezzaluna di chips di giuggiole, sostenuta da alcuni acini di uva, e le “Coscette di quaglia all’uva selvatica con dukkah e chips di giuggiole” sono pronte.
Bevanda consigliata:
“Il Repertorio” Aglianico del Vulture DOC 2019 – Cantine del Notaio.
Pur rientrando nella categoria delle carni nere, cioè quelle di selvaggina (sia da piuma che da pelo) a basso contenuto di grassi e con fibre muscolari più dure rispetto ad altri animali, le quaglie non necessitano di una lunga frollatura prima di essere consumate.
E neanche di rossi particolarmente corposi da sostenere sapori forti come quelli della carne di cinghiale o di cervo.
La scelta di un ottimo Aglianico delle Cantine del Notaio appare in questo caso l’opzione migliore.
Caratterizzato da un colore rosso rubino brillante questo vino effonde aromi di frutta rossa matura (soprattutto di ciliegia), ulteriormente esaltati da sentori di vaniglia che sottolineano fin dal primo sorso la bontà delle uve di origine.
Perfetto con secondi a base di quaglie, si rivela ottimale anche con arrosti di carne rossa e altri piatti a base di selvaggina, o con formaggi a grana dura molto stagionati.
La temperatura di servizio è compresa tra i 17 e i 19 gradi.
Chef Giorgio Rosato
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