Home Diversamente C.H.E.F. Degustazione sensoriale: critica del gusto e “gusto della critica”

Degustazione sensoriale: critica del gusto e “gusto della critica”

Il mestiere del critico, indipendentemente dal settore nel quale svolge la sua professione, è sempre stata un’occupazione difficile, ricca di luci ed ombre. A cominciare dalla critica letteraria dove, soprattutto tra gli anni ’80 e ’90, la tendenza dominante era quella della stroncatura tout court della maggior parte degli autori. Una propensione all’epoca talmente diffusa al punto da innescare fenomeni alquanto singolari, come quello di Susanna Tamaro che, prima del successo planetario del suo “Va’ dove ti porta il cuore”, dovette inviare il dattiloscritto del suo romanzo a 37 editori prima che venisse pubblicato, o alle varie boutade di molti buontemponi che inviarono romanzi famosi (i cosiddetti falsi d’Autore) a blasonate Case editrici. Il caso più eclatante fu quello di un aspirante scrittore che ricopiò parola per parola “Il Gattopardo”, cambiando solo nomi e riferimenti geografici, dopodiché lo inviò ad un noto editore come opera inedita. Il risultato fu che il capolavoro di Giuseppe Tomasi di Lampedusa venne rifiutato in quanto ritenuto di “mediocre scrittura e non idoneo alla pubblicazione”.

Anche nel mondo della musica vi sono tantissimi esempi di valutazioni affrettate e superficiali, come quella avvenuta verso la fine degli anni Sessanta in Gran Bretagna. Erano gli anni in cui nelle classifiche di tutto i mondo dominavano i 45 giri e gli LP dei Beatles quando David Robert Jones, un giovane e sconosciuto cantautore inglese, decise di affrontare il suo primo provino negli studi della BBC (considerata all’epoca la più autorevole e prestigiosa fucina di nuovi talenti musicali). Il candidato iniziò a cantare il suo brano, accompagnandosi con la chitarra, ma prima che potesse finire la canzone venne fermato dal responsabile dell’audizione: “Basta così, è sufficiente!”, sentenziò l’austero funzionario sfoggiando il mitico british aplomb, chiosando laconicamente poco dopo “il suo brano non ha alcuna possibilità di essere pubblicato e poi lei, ci perdoni la franchezza, non ha alcuna personalità…”. Il giovane cantautore, nonostante la delusione, ringraziò tutti e lasciò gli studi della BBC, continuando a credere nelle sue capacità, oltre a perseverare nel presentarsi ai provini delle case discografiche. Qualche tempo dopo riuscì finalmente a pubblicare il suo primo disco, e a scalare subito le classifiche europee. Il suo nome d’arte? David Bowie.

E in cucina poteva andare diversamente? Certo che no. Prendiamo l’esempio di un recente fatto di cronaca relativo alla notte (26-01-2021) dell’assegnazione delle stelle Michelin nel Regno Unito. La notizia (“Hélène Darroze premiata con 5 stelle Michelin in una settimana”) è senz’altro una di quelle destinate a fare scalpore perché alla celebre chef francese era stata assegnata la seconda stella la settimana prima per il suo ristorante a Parigi (“Marsan par Hélène Darroze”) , e la conquista della terza stella nel suo ristorante a Londra (“The Connaught”) ha portato a 5 il bottino in una sola settimana.  Analizzando la storia di Hélène Darroze scopriamo che anche lei è incappata nelle grinfie dei critici gastronomici, finendo nei pesanti e severi giudizi del più importante giornalista del food della BBC: Jay Rayner, uno dei più autorevoli scrittori britannici di cucina, vincitore del prestigioso “Critic Of The Year, British Press Awards” nel 2006.

All’inizio della sua carriera londinese, nel 2008, Hélène Darroze inizia a lavorare nel prestigioso “The Connaught”, uno dei ristoranti più esclusivi della capitale britannica. Alla serata inaugurale era presente a cena anche il cattivissimo Jay Rayner che, più caustico che mai, il giorno dopo pubblicò la sua recensione, definendo le pietanze del menu come “I peggiori piatti che mi siano mai stati serviti…”. Come David Bowie anche la Darroze incassò il colpo senza battere ciglio, forse consapevole che gli strali feroci di Rayner non avrebbero influenzato più di tanto la sua carriera. E infatti l’anno successivo (2009) arriva la prima stella Michelin, poi la seconda (2011) ed infine la terza (2021).

Appare evidente quindi che quello che inizialmente dovrebbe essere un (sacrosanto) diritto di critica del gusto possa tramutarsi con estrema facilità (e leggerezza) in una nuova disciplina che riesce a magnetizzare e a coartare sempre nuovi proseliti: il gusto della critica. Chef e ristoranti diventano quindi facili bersagli da mettere alla gogna senza alcun criterio analitico e, soprattutto, senza un’approfondita disamina del quadro globale (e sinottico) della situazione. Questo non vuol dire che i critici gastronomici non debbano espletare il proprio lavoro, ma soltanto che sarebbe auspicabile dilatare sensibilmente il proprio spettro di analisi. Il giudizio e la valutazione inerenti il prodotto di uno chef è molto complesso poiché il suo lavoro non deriva mai dall’impegno di un singolo, ma scaturisce nella maggior parte dei casi da una intensa condivisione di impegni, sacrifici e numerosi tentativi da parte dell’intera brigata. Bisogna tenere presente infatti che anche la ricetta più originale e creativa ideata sulla carta, una volta realizzata nel piatto possa evidenziare delle criticità. Ed è per questo che viene sottoposta a numerose (e a volte estenuanti) rielaborazioni prima di arrivare a quel magico risultato finale che veicola ogni nuova creazione dalla mente dello chef al menù à la carte. Tutto questo, al di là delle legittime considerazioni legate ai gusti personali, non può essere svilito da un giudizio frettoloso redatto con superficialità e/o scarsa competenza.

Ogni elemento (sia esso tangibile o immateriale) che entra a far parte della composizione di una ricetta deve essere vagliato diligentemente in seguito ad una analisi approfondita e priva di qualsiasi pregiudizio. E tutti i fattori coinvolti nella preparazione di un piatto devono essere presi nella giusta considerazione e, last but not least, anche la prossemica degli ingredienti nel dressage del piatto ha un suo ruolo precìpuo.

Testo di GIORGIO ROSATO – Chef  Professionista, giornalista (49 libri), globetrotter (71 Paesi) ed Executive Chef in un ristorante nelle Langhe – Autore di rubriche su diversi web magazine del food, è spesso ospite negli show cooking televisivi (Alice TV, Canale Italia, SKY).