Home DEGUSTO Erbaluce di Caluso, il vino che parla Torinese !

Erbaluce di Caluso, il vino che parla Torinese !

Nel 1967, agli albori delle denominazioni in Italia, nasce la Doc Erbaluce di Caluso che si declina in tre tipologie pervenute in grandissima forma fino ai giorni nostri: Caluso, Caluso Spumante e Caluso Passito. L’area di produzione, prevalentemente in provincia di Torino, include anche alcuni comuni del Biellese e del Vercellese. Dal 2010, la Denominazione diventa di Origine Controllata e Garantita, all’apice dei riconoscimenti nazionali.

La leggenda vuole che il nome derivi dalla ninfa Albaluce, figlia dell’Alba e del Sole che viveva, molti secoli or sono, nel grande lago che ricopriva gran parte dell’attuale Canavese. Alcune lacrime scese dalle gote della bellissima dea, cadendo su un arbusto, ne avrebbero favorito l’emissione di lunghi tralci e la produzione di dolci e succosi grappoli d’uva dorati.

Lo stesso vitigno viene così descritto, nel 1606, da Giovanni Battista Croce, eclettico personaggio della corte del Duca Carlo Emanuele I di Savoia nel suo trattato “Dell’eccellenza e della diversità dei vini che nella Montagna di Torino si fanno e del modo di farli”:“Elbalus è uva bianca così detta, come Albaluce, perché biancheggiando risplende: fa li grani rotondi, folti e copiosi, ha il guscio, o sia scorsa dura: matura diviene rostita, e colorita, e si mantiene in su la pianta assai: è buona da mangiare, e a questo fine si conserva: fa li vini buoni e stomacali.”

Una descrizione ancora attuale che calza perfettamente a questa stupenda uva bianca che ha nel passito la punta di diamante della produzione e i cui acini dalla buccia spessa diventano ambrati, tanto da sembrare arrostiti quando esposti in modo ottimale ai raggi del sole. Nasce per caso, quando l’uva Erbaluce veniva raccolta a settembre e conservata nei solè (solai) durante l’inverno per essere consumata a tavola. Verso febbraio – marzo gli acini rimasti, ormai completamente appassiti, non erano più commestibili. Venivano quindi pigiati e vinificati in particolari bottiglioni e botticelle. Il corposo nettare ricavato, troppo forte per essere bevuto tale quale, veniva usato come corroborante, tonico, ricostituente, servito alle balie e agli uomini cui spettavano i lavori pesanti (bovari, potatori,…). Offerto come segno di deferenza a importanti ospiti di passaggio, venne conosciuto come vin santo di Caluso e tanto apprezzato da diventare oggetto di apposita produzione e non più come solo recupero delle uve avanzate dal consumo fresco invernale.

Le passitaie con le stuoie, i graticci o i grappoli appesi al soffitto, oltre che basilari per la produzione rimangono una delle peculiarità del mondo contadino canavesano. Qui si preparano le basi per questo nettare che ha nell’acidità dell’uva un punto si forza che lo rende equilibrato, gradevolmente dolce, mai stucchevole, compagno ideale della ricca tavolozza di pasticceria locale ma anche delle saporite tome delle Valli Chiusella, Sacra e non solo.

Alziamo  dunque i calici, brindiamo ai nostri vini locali, ai vitigni autoctoni che oltre alla bontà, alla diversità delle proposte, delle sensazioni, dei caratteri organolettici, ci offrono la storia di un territorio e tutto il suo patrimonio umano come quello della Cantina Produttori Erbaluce di Caluso che festeggia i suoi primi 40 anni. Un sodalizio, portabandiera delle speranze e delle ricchezze di un comprensorio che, come dovrebbe sempre essere,  ruota intorno all’uomo, agricoltore e detentore di arcani segreti che solo chi lavora la terra può avvicinare.

Alessandro Felis

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