Dal nostro inviato.
Arese. La transizione energetica basata su tecnologie avanzate e sostenibili sta producendo una specie di terremoto nell’industria motoristica di diversi Paesi, compresa l’Italia. Il tema riguarda, sì, le emissioni ed i “scivoloni” occorsi a qualche grande Costruttore in fatto di Diesel e di conseguenza la tutela dell’ambiente, ma ancor più i consumi. A dare una grossa, forse determinante, mano è la crescente diffusione del bio-metano, degli ibridi e del motore elettrico. (Di idrogeno quasi tutte le Case preferiscono non parlare, almeno per il momento, dati i noti problemi relativi alla produzione, allo stoccaggio e alla pericolosità).
L’Iveco – facente parte del Gruppo ex torinese ed ex italiano – da tempo è impegnata a sviluppare e perfezionare tutto quanto contribuisce alla produzione di veicoli, commerciali e industriali, risparmiosi, “puliti”, silenziosi, oltre che affidabili, durevoli, in definitiva profittevoli per i clienti. Risultato ottenuto attraverso quattro componenti: qualità, competenza, formazione e assistenza. In questo quadro, il mercato dei furgoni e dei camion richiede un trasporto sempre più sostenibile, che ormai non è più un problema ma una soluzione.
Il Diesel, che ha fatto furore per anni grazie anche al cosiddetto “effetto pompa” (perché costava meno della benzina) e alla effettiva morbidezza e resa dei motori, sembra ora segnare il passo avendo più oppositori che sostenitori. Si parla di proibire la circolazione dei veicoli a gasolio in città ma, sostengono gli esperti, bisognerebbe ampliare il discorso e limitarne l’uso anche ad aree ben più estese, tipo l’intera Pianura Padana.
Sono riflessioni emerse in una conferenza stampa tenuta, nel nuovo Museo Alfa Romeo di Arese, da Pierre La Hutte, brillante francese dirigente col grado di Iveco Brand President, circondato dalla sua corte di collaboratori, partners come la Michelin e “robusti” clienti come Lannutti. E’ emerso come, a fronte delle galoppanti innovazioni in atto, i Costruttori si siano attrezzati per non perdere terreno, mercato e guadagni. A cominciare da Iveco, che profittevole già lo è davvero essendo, tra l’altro, un’azienda che vanta una gamma di modelli comprendente tutti i tipi di motori, potenze, configurazioni di carrozzeria, dimensioni, portate e possibilità di trasformazioni, in grado di soddisfare le più diverse necessità dei clienti.
Quanto ai commerciali leggeri il cui mercato italiano totale ha fatto registrare lo scorso anno circa 200.000 immatricolazioni, con un forte aumento rispetto al 2015, Iveco la fa da padrona, con il Daily Diesel Euro 6 e relative varianti a gas, elettrica ed automatica HI-Matic. Nei medi, molto legati al settore della logistica urbana, il porta-bandiera dell’Iveco è l’Eurocargo, fabbricato a Brescia e con buone prospettive di crescita per quest’anno, così come fra i mastodontici pesanti stradali è lo Stralis, rinvigorito dalla versione Natural Power. Il gas naturale, impiegato in passato soprattutto per la produzione di calore e di energia elettrica, è adesso richiesto dal trasporto su gomma che vuol farne la sua arma vincente. Ci credono le grandi aziende di trasporto come la sopra-citata Lannutti di Cuneo, che continua ad ordinarne quantitativi cospicui.
E poi, molto meno significativo nei numeri di vendita ma pur sempre da considerare per fronteggiare la concorrenza, è il campo degli autobus. Il prodotto di punta per Iveco è l’interurbano (specie il Crossway). C’è buona richiesta di “torpedoni” (come si diceva una volta) turistici.
Un discorso a parte merita il trasporto pubblico urbano, ancora penalizzato da un parco circolante vecchio, fatto di bus equipaggiati con motori non al passo coi tempi (financo Euro 3, Euro 2!) e di carrozzerie sgangherate, specie da Roma in giù. Con il nuovo stanziamento statale di 800 milioni di Euri diluito su 4 anni, il parco di questi vecchiumi, si spera (…!!) che migliori. Fino ad oggi il problema di questi mezzi che devono, o dovrebbero, garantire la mobilità dei cittadini, era costituito dalla mancanza di fondi ma anche dal fatto che molti amministratori pubblici si astenevano dal partecipare alle gare d‘appalto finalizzate alle forniture, per paura di finire nei guai con l’accusa di corruzione, turbativa d’asta, mazzette. Cessato il tintinnìo delle manette, il settore torna a respirare.
Cesare Castellotti Vaglienti