Cibo ecosostenibile, tecniche di cottura ecosostenibili, allevamenti ecosostenibili, pesca ecosostenibile, caccia ecosostenibile, automobili ecosostenibili, vestiti ecosostenibili, arredamenti ecosostenibili, industria ecosostenibile, vernici ecosostenibili, eccetera eccetera.
E chi più ne ha più ne metta. Basta, non se ne può più, è ora di darci un taglio!
Restituiamo ai nostri pensieri la sana (e giusta) dose di equilibrio e di buon senso. Entrambi fattori indispensabili per una adeguata disintossicazione cerebrale, ma altrettanto utili per espletare una analisi ponderata e obiettiva del mondo che ci circonda.
È mai possibile che tutto quello che ci riguarda, dai beni di consumo al tempo libero, dalle più semplici attività lavorative dell’artigianato alle più raffinate tecnologie dell’industria devano passare attraverso le Forche Caudine della sostenibilità? Per giunta ad appannaggio (a volte in senso antifrastico) sempre della stessa casacca politica?
E perché mai la tutela dell’ambiente, e di tutte le attività ad essa legate, deva necessariamente trasformarsi in una sorta di totem inespugnabile?
Un totem che sempre più spesso assume i connotati di un dogma. Inspiegabile e insindacabile al tempo stesso. E sul cui altare sacrificale vengono immolati i valori e gli stili di vita che regolano le nostre attività.
Ormai abbiamo i recettori olfattivi esausti dalla straripante e prolissa ecoflatulenza della sostenibilità a tutti i costi. E i timpani spossati per l’altrettanto molesta esondazione pletorica che, in maniera sempre più massiva, sta invadendo pesantemente anche i settore del food. Dalla grande distribuzione all’esclusivo universo del fine dining.
È praticamente impossibile infatti scovare una ricetta nella quale non compaia la dicitura “a chilometri zero” per quanto riguarda l’utilizzo degli ingredienti, o l’immancabile chiosa “ecosostenibile” riferita agli elementi del packaging.
Quasi fosse un reato usare ingredienti che, per motivi culturali o strettamente ambientali, non possano provenire dalle aree limitrofe nelle quali si trova ad operare uno Chef o un qualsiasi addetto alla ristorazione.
E chi può arrogarsi il titolo di valutare la genuinità o la bontà di un prodotto, solo perché viene definito “a chilometri zero” dai guru (e dai loro sodali) che muovono le fila dell’ecoteatrino universale?
Un taglio di Fassona piemontese è forse più ecosostenibile di una bistecca di Wagyu (considerata la più pregiata carne del mondo) solo perché quest’ultima arriva dal Giappone?
E un dragon fruit o un mangostano importati dal Vietnam risultano meno appetibili di un fico d’India cresciuto nel proprio giardino?
Non si può condizionare, né limitare, il lavoro di uno Chef avendo come riferimento esclusivo il dilagante altare sacrificale della eco-sostenibilità.
Né trasformare questa abusata effigie (osannata e ostentata dai paladini ad oltranza della protezione ambientale) in un simulacro inespugnabile che, oltre a stabilire le direttive alle quali attenersi, detta al tempo stesso anche le regole di mercato.
E ora di riprendersi il sacrosanto diritto di poter scegliere in piena autonomia quali ingredienti usare, indipendentemente dalla loro provenienza o dalla distanza dell’area di produzione. Presupposto essenziale per cambiare radicalmente l’attuale situazione.
Magari arrivando ad una condizione diametralmente opposta nella quale, riferendosi agli alimenti, si possa parlare finalmente di “ingredienti ad anni luce zero”. E archiviare definitivamente la pletora della sostenibilità.
In fondo tutti gli alimenti e gli ingredienti utilizzati in cucina provengono dalla stessa Madre Terra, argomento sempre evocato e tanto caro agli ecoburattini di ogni latitudine. Scientemente ammaestrati dai pupari dell’enclave politica di riferimento, affiancati sovente dall’immancabile masnada di plutocrati sempre più vorace e fagocitante.
Una inversione di rotta, che sia chiaro non vuol dire affatto trascurare o non prestare la dovuta attenzione alle svariate problematiche dell’ambiente, sarebbe auspicabile per ristabilire un po’ di equilibrio.
E se ciò avvenisse, parafrasando le parole di Neil Armstrong quando mosse i primi passi sulla Luna (“One small step for a man, one giant leap for mankind”), questo cambiamento sarebbe senz’altro “un piccolo passo per uno Chef, e un gran balzo per la cucina dell’intera umanità”.
Chef Giorgio Rosato