La passione per il mondo offroad, Paolo Calabria ce l’ha da sempre nel DNA. Dalle prime uscite in Lada Niva sino alla progettazione di un MAN Tga 480 e alle partecipazioni alla Dakar: ecco cosa ci ha raccontato questo pilota bresciano della sua storia a trazione integrale e del suo fuoristrada dei sogni.
“1985: patente in tasca, appena presa. Acquisto una Landa Niva per guidare sui tracciati nostrani, attorno a casa. Quattro pneumatici tassellati da fango e nient’altro, il resto tutto di serie. Al volante di quel fuoristrada spartano e senza tanti fronzoli mi divertivo come un matto! Un po’ meno i miei genitori, preoccupati che potessi farmi male e combinare qualche guaio. Non ti dico quando il giorno prima di partire per il servizio di leva ribaltai la Niva. Le loro urla le ricordo bene ancora oggi, a distanza di tanti anni”. Dalla metà degli anni ’80, Paolo Calabria, bresciano di origine (è nato nel 1966 a Palazzolo sull’Oglio) di offroad ne ha fatto davvero molto, anche di quello che per tanti è il sogno di una vita: la Dakar, il rally raid più celebre al mondo. Ma partiamo dall’inizio.
DNA a…motori
Quando e come è iniziata la tua passione per il fuoristrada? “Direi che fa parte da sempre del mio DNA! Passavo più tempo a lavorare nella mia officina che a studiare: ero l’incubo di mia mamma Anna, insegnante di scuola alla vecchia maniera, molto severa come lo si era a quei tempi -racconta sorridendo Paolo- Sin da piccolo il mio desiderio più grande era costruire veicoli a motore, occupandomi di ogni fase della progettazione e di ogni altro aspetto. A 15 anni ho assemblato un trabiccolo con il motore di una motosega, a 18 ho costruito un kart motorizzato TM. Gli anni sono passati e sono cresciuto ma la passione per i motori e le sfide…è rimasta quella! Diciamo che la mia passione per il mondo 4×4 è tutt’uno con quella per la progettazione e la costruzione di un veicolo con cui poi mettermi alla prova seduto dietro il volante, in una gara o in un’uscita fra amici: la sfida così diventa doppia! Ho collaborato alla realizzazione degli interventi di modifica a diversi Unimog con cui ho gareggiato nel corso degli anni sino ad occuparmi poi di disegnare e costruire il retrotreno della Panda (chi non ricorda la celebre PanDakar? ndr) che ha partecipato e tagliato il traguardo del famoso rally nel 2016”. Il progetto più ambizioso e impegnativo (solo per ora s’intende!) a cui ti sei dedicato è quello dell’attuale MAN: come è nata l’idea? “Dopo aver partecipato a diversi rally raid, un bel giorno ho deciso che era arrivato il momento di realizzare, partendo da zero, un camion da schierare fra i prototipi -spiega Calabria- Così, dopo aver acquistato un Tga 480 di serie da cui sono stati presi motore, cambio e cabina, ne ho curato, in prima persona e con grande soddisfazione, non solo la progettazione, dal telaio alla trasmissione, ma mi sono occupato anche della realizzazione. Insomma, sono uno a cui piace sporcarsi le mani! L’aiuto di un gruppo di appassionati all’interno della mia azienda (CMC Industries, ndr) e di Loris Calubini, è stato fondamentale: ad iniziare da Marco Cuter che mi ha affiancato nella progettistica meccanica, sino a Cristian Defendi, Angelo Piacentini e Stefano Moser che ne hanno curato la parte elettrica e relativa al software. Una preziosa collaborazione me l’ha fornita anche l’ingegner Fabrizio Losi della ZF che ha saputo consigliarmi nello sviluppo del nuovo cambio così come gli ingegneri Davide Bionaz, Eugenio Tiziani e Witold Chmielewsky della Meritor, azienda statunitense di componentistica automotive”.
Passione racing
Di strada, sterrata, dalla Landa Niva al MAN Tga 480 ne hai fatta molta. Come ti sei avvicinato al mondo delle competizioni motoristiche? “Grazie a Giulio Verzelletti che mi ha fatto conoscere e appassionare a questo incredibile mondo dove ho incontrato tanti amici con cui ci divertiamo a guidare su piste e dune dei deserti -prosegue Paolo- La mia prima gara è stata in Tunisia, quando esisteva ancora l’Optic 2000: in quell’occasione il mio ruolo era quello di navigatore su un Unimog. Proprio da quegli anni sono nate tante amicizie che durano tutt’oggi, come quella con Loris (Calubini, ndr), mio compagno di avventure offroad, e gli amici del Team Orobica Raid”. La tua ultima gara Paolo, in ordine di partecipazione, è stata il Tunisia Desert Challenge: “Esatto, nel mese di aprile, in cabina con Loris e con i colori del team bergamasco: per la seconda volta, a distanza di sei mesi l’uno dall’altro, ci siamo schierati allo start di questo rally ospitato in Tunisia che si è rivelato essere decisamente impegnativo, anche per il costante vento, ma perfetto per testare il MAN. Le mitiche dune di El Borma, nel sud del paese, sono state un banco di prova importante per il Tga a cui erano state apportate alcune migliorie”. Nella tua carriera motoristica hai partecipato a 6 edizioni della Dakar, quattro in America Latina e due in Arabia (4 volte alla guida di un Mercedes Unimog di proprietà del Team Orobica Raid di cui 2 come assistenza veloce alla PanDakar; le 2 in Arabia sul MAN) e poi ancora tante gare del campionato Baja in Italia, valide per il mondiale, e all’estero, soprattutto in Spagna e Ungheria. C’è qualche aneddoto che ricordi particolarmente? “Forse la Dakar 2016 quando siamo riusciti a far sì che la Panda 4×4 tagliasse il traguardo finale. Il team manager della Mini venne a congratularsi con noi dicendoci che eravamo riusciti in quell’impresa un po’ folle perché eravamo un gruppo affiatato di amici che ci aveva messo anima e cuore, nonostante le inevitabili difficoltà incontrate. Ricordo bene anche la sera in cui, nel bel mezzo delle Ande, si ruppe il radiatore della Panda. Dopo aver riparato il veicolo per permettergli di proseguire il rally, buttai i pezzi della carrozzeria della Panda nel cassone del camion di assistenza senza rimontarli. Eravamo davvero stanchi dopo diverse notti insonni ma…vuoi mettere la soddisfazione di farcela?!”. Quindi tu sei uno dei Panda Angels. “Sì, ci avevano chiamati così in modo affettuoso! Il progetto PanDakar è stato piuttosto impegnativo ma anche quando con l’Unimog di assistenza si arrivava al bivacco alle prime ore della mattina, dopo ore e ore di guida ininterrotta, in pratica quando era di nuovo ora di ripartire, il calore e l’accoglienza della popolazione dell’America Latina era così forte che la stanchezza passava in secondo piano. Tutti ci spronavano a non mollare, persino i commissari di gara. Ma queste sono emozioni difficili da spiegare se non le vivi di persona!”.
Passione raduni e raid
Sul fronte viaggi, in offroad ovviamente, cosa ci racconti invece? “Sono stato un paio di volte in Tunisia con il mio Land Rover Discovery 300 Tdi e una volta in Canada con un Ford Bronco preso a noleggio ma, con mia moglie, abbiamo in programma di andare quanto prima in Islanda e anche in Patagonia -prosegue Paolo- Mettersi al volante durante una gara è decisamente diverso che farlo in occasione di un raduno o di un viaggio: il piacere di scoprire posti nuovi, dove con un veicolo tradizionale ci arriveresti più difficilmente, o magari non ci arriveresti proprio, non manca mai ma l’adrenalina che ti dà una competizione, in cui sfidi i tuoi limiti e ti metti alla prova dal punto di vista sportivo e umano, quella ce l’hai solo in gara. Mi piace anche andare in moto e faccio enduro sui monti vicino a casa: ho una KTM 300 e una 450 con cui mi diverto molto, sono a stretto contatto con la natura e mi tengo in allenamento. Altri sport? Appena posso trekking ed escursioni in alta montagna. Per qualche anno ho praticato anche vela con un catamarano classe A ma poi, per questioni di tempo, ho dovuto scegliere a cosa dedicarmi. Ai motori, s’intende!”. Quale è il tuo fuoristrada dei sogni? “Bella domanda! Un camion ovviamente, uno di quelli da 1.200 cv. Magari un Iveco Powerstar…ma da smontare e riprogettare come voglio io: arretrare il motore, sostituire gli assali e altre cosette di questo genere!” scherza Paolo. Che stia scherzando non ci crediamo molto, anzi siamo certi che qualcosa di interessante stia già bollendo in pentola: un progetto da “combattimento”, dalle linee classiche (o forse no) ma molto ben studiato. D’altronde, all’epoca del militare, indovinate chi guidava un Leopard?
Testo Sonja Vietto Ramus
Foto S. Vietto Ramus e archivio P. Calabria
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